lunedì 13 marzo 2017

Recensione #84 "Crepuscolo" di Kent Haruf *NNE*

Crepuscolo - Kent Haruf  
NNEditore  - Anno 2016
P. 315 - 18 € - Scheda del libro
Il fatto di poter tornare in un luogo amato che pur non compare sulle carte geografiche è una certezza che alleggerisce il peso del distacco, è come arrivare in fondo al barattolo della nutella e sapere che raschiando bene con il cucchiaio avremo ancora una quantità considerevole di cioccolato da gustare.
La trilogia della pianura è conclusa, il barattolo è ormai vuoto.  Mi consola il fatto che tutto intorno il vetro sia coperto da uno strato di cioccolato che potrò centellinare leggendo "Le nostre anime di notte", e non è poco.
L'ultima corsa sull'autobus polveroso mi spettava di diritto, e dopo l'amore viscerale per Canto della pianura, (i fratelli McPheron mi mancavano da matti), sono ripartita quasi subito, senza disfare i bagagli e ho trovato "CASA" immutata.


E' la fine dell'estate ad Holt, i vecchi fratelli Harold e Raymond sono impegnati con l'asta dei vitelli di razza, Victoria e la figlioletta Katie si apprestano a partire per l'università di Fort Collins e io arrivo giusto in tempo alla fattoria con la mia valigia consumata per assaporare ad occhi chiusi la purezza del sentimento nato tra loro, due vecchi solitari e una giovane donna bisognosa di cure e affetto e penso che a volte i vincoli di sangue siano un legame molto meno saldo di quello nato dal desiderio di amare e donarsi.
Ma Kent Haruf  tesseva trame ancorate alla realtà e in Crepuscolo ha sferrato una frustata forte e decisa che ha rotto gli equilibri, ha riportato l'attenzione sulla consapevolezza disincantata che scaturisce dall'essere artefici della dura quotidianità, e tutto questo permea le pagine, la stanza, il momento, l'anima.
A est di Holt c'è una grossa roulotte, quella dei Wallace, scolorita dall'alternarsi delle stagioni, la terra incolta, arida e le erbacce la rinchiudono in una gabbia immaginaria.
Prigionia è la sensazione che avverto entrando. C'è un gran casino, il lavello è scomparso sotto una pila di piatti maleodoranti, il sacco della spazzatura è traboccante di rifiuti, gli oggetti del quotidiano non hanno una sistemazione razionale.
Luther e la sua lattina di Pepsy, Betty e il mal di stomaco che le toglie il sonno, disordinati e confusi dentro, come la loro abitazione, ingabbiati da qualcosa che annienta il senso del dovere, sordi al richiamo della genitorialità, poveri diavoli recidivi che non imparano mai dai propri errori, pregni di quella presunzione ignorante che li rende deboli, piagnucolosi, tanto codardi da non sentirsi in obbligo nella difesa dei propri figli.
Joy-Rae e Richie sono i loro figli, quelli che a modo loro amano, un modo alquanto discutibile.
E' devastante ciò che può accadere tra quattro mura, se quelle portanti anzichè sorreggere il peso si piegano come cartapesta. C'è sempre qualcuno che paga per le debolezze altrui.
Affidati alle cure di Rose Tyler, paziente e comprensiva assistente sociale, i Wallace campano di assegni, accontentandosi. Le basi per il futuro di Joy-Rae e Richie le getta lo zio Hoyt, un essere orribile.
DJ Kephart è così magro da risultare quasi trasparente. Ha solo undici anni ma si nutre di ruvidezza. Orfano di madre e di padre anonimo, DJ si prende cura del burbero nonno settantenne.
E' un ragazzino di poche parole, solitario, un bravo studente, sempre indaffarato a racimolare qualche dollaro con piccoli lavoretti ed è proprio grazie all'orto di Mary Wells e alle sue figlie Dena e Emma che comincia a sentire il bisogno di contatto.
Il marito di Mary lavora in Australia, un giorno durante una telefonata confessa alla moglie che non tornerà più. Il suolo si squarcia in due sotto i piedi di Mary trascinandola in un vortice di disperazione e depressione.
Dena e DJ vivono la loro amicizia fatta di riflessioni silenziose, di rassegnazione, di vecchie coperte pidocchiose, di candele tremolanti che proiettano ombre scure sulle pareti di un capanno disabitato e del conforto di un capo posato su di una spalla.
La situazione di malsano stallo in cui Mary Wells è sprofondata arriva ad un bivio e un tragico evento la costringe a scegliere quale strada imboccare.
Rose Tyler, assistente sociale, ha l'incarico di prendersi cura di alcune persone disagiate di Holt, il suo compito è quello di aiutarle a rimettere in ordine le loro vite, mentre cerca di rimettere insieme i cocci della sua di vita: rimasta vedova molti anni addietro, con un figlio e i nipotini lontani e una solitudine vecchia di vent'anni che l'ha ricoperta di polvere come un utensile abbandonato e inutilizzato. Per Rose è giunto il momento di ripulirsi dal passato e ricominciare.

Kent Haruf ha mantenuto la stessa sobrietà nel narrare, ha risvegliato lo stesso amore commovente per Holt e i suoi abitanti, la stessa ordinarietà che stupisce con la cognizione del vissuto, ha però indurito alcuni tratti scoprendosi un bravissimo creatore di colpi di scena laceranti; è abile nel fiondare il lettore nelle situazioni sussurrandogli però all'orecchio di non preoccuparsi, perché la tempesta precede sempre il sereno.
I destini dei personaggi si intrecciando alla perfezione e attraverso il buio uno spiraglio di luce filtra esaltato dai quei particolari descrittivi che arricchiscono la prosa, rendendola poesia.
La Trilogia della Pianura non si legge, si vive.












1 commento:

  1. Ho in programma di leggere il primo volume per cui sono davvero curiosa di scoprire che effetto avrà una tale lettura su di me :)

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